Il conflitto non è uno scambio tra persone di emozioni sgradevoli e comunque necessarie dove sguazzare e con cui convivere.

Eppure la maggior parte delle volte che ho a che fare con team in difficoltà la situazione è quella del
‘ha cominciato l’altra persona, il progetto è il mio, perché devo essere sempre io a cedere?’

Ecco che torna l’ombelicocentrismo a discapito del lavoro di squadra.
Perché il conflitto sia sano, produttivo (sì, può esserlo) necessita di essere vissuto, facilitato, come un processo che fa parte di una serie di eventi precedenti e successivi, dunque che si manifesti nel tempo ed è un bene che accada.

Durante una riunione, in presenza oppure online, la fiducia che si ha negli altri è fondamentale per poter condividere il proprio parere contrario, sapendo che non sarà un attacco personale, e che l’attenzione è rivolta a processi e procedure, ai risultati da raggiungere senza il desiderio di prevaricazione, emersione e affermazione di sé.
Tosta eh farsi da parte per altro diverso da sé.

Il lavoro è della squadra e il conflitto è generativo di consapevolezza. Così come lo è la sua assenza.
Bisogna scegliere se starci dentro tutti con paura e omissione, o fiducia e condivisione. Cosa scegli?